Piercing, bocca e denti

Piercing, bocca e denti

Sempre più persone ricorrono all’uso del piercing: in particolare questa moda è molto diffusa tra i più giovani. I punti dove viene applicato sono frequentemente ubicati proprio nel cavo orale: in primis sulla lingua, ma anche nel labbro inferiore o al centro di quello superiore, davanti gli incisivi.

Senza voler entrare nel merito di scelte estetiche, è opportuno ricordare che il piercing può avere in alcuni casi ricadute negative sulla salute generale o su quella locale, strettamente odontoiatrica.

Innanzi tutto l’applicazione, è ovvio, deve essere fatta da operatori che lavorino in ambienti a norma e con materiale sterile, viceversa i rischi che si corrono sono notevoli: dal contagio con virus molto pericolosi a più semplici, ma non per questo accettabili, infezioni locali.

Allergie, inalazione o ingestione della parte applicata sono eventi purtroppo frequenti.

Dal punto di vista strettamente odontoiatrico bisogna invece considerare che le parti metalliche sono in grado di danneggiare sia i denti che i tessuti molli. Tipico è il caso del piercing al labbro inferiore: la porzione interna infatti potrebbe impattare continuamente sulle gengive con il rischio di provocare recessioni gengivali.

Oltre alle gengive, il piercing può causare danni ai denti come pigmentazioni, abrasioni e fratture o al loro posizionamento: in letteratura sono riportatati casi in cui il paziente, giocherellando a premerlo contro i denti, aveva progressivamente indotto una malocclusione.

Infine, anche se molto raramente, si può patire una lesione di strutture nobili (nervi, ghiandole salivari).

Per quanto sopra, sarebbe opportuno che chi desidera applicare un piercing in bocca, prima di farlo, fosse sempre preventivamente informato dall’operatore sui rischi. Preso atto di essi ed effettuata tale pratica, non bisognerebbe comunque dimenticare di usare adeguate misure di igiene ed eseguire controlli odontoiatrici con frequenza.

Ortodonzia, Labiopalatoschisi e Malformazioni

Le malformazioni cranio facciali sono un insieme di patologie che racchiude: le labiopalatoschisi (LPS); le microsomie latero – facciali; le craniostenosi e le craniofaciostenosi nonché altre malformazioni estremamente rare.

Mentre la gran parte delle malformazioni ha una bassa incidenza, la schisi labio palatale si presenta in un caso ogni 700 nuovi nati (per capirci è 10 volte più frequente del diabete insulino-dipendente) rappresentando la principale malformazione del distretto testa-collo.

Il trattamento  delle malformazioni è complesso e impone che i pazienti vengano trattati in modo multidisciplinare da genetista, neonatologo, foniatra, logopedista, chirurgo e ortodontista. Le diverse fasi del trattamento devono correttamente armonizzarsi nell’ottica di riabilitare al meglio il malformato. Indubbiamente è molto importante la fase chirurgica che deve essere intrapresa applicando protocolli riconosciuti, con un timing ben preciso e soprattutto da mani esperte; ma altrettanto importante è anche il trattamento ortodontico nei pazienti con labio palato schisi e nei malformati in genere in quanto attraverso di esso si può condizionare lo sviluppo delle ossa mascellari abitualmente stravolto dalla malformazione e anche dagli interventi chirurgici con le relative sequele.

Con particolare riferimento ad esempio alle LPS, l’ortodonzia può sia intercettare precocemente le malocclusioni di terza classe scheletrica quasi sempre presenti in questi pazienti contrastandole con interventi ortopedici e/o dentali, sia intervenire successivamente in accordo col chirurgo per preparare i pazienti ad interventi di riposizionamento chirurgico dei mascellari atti a migliorare ulteriormente funzione ed estetica dei denti e delle basi ossee.

Naturalmente, come per il chirurgo, anche per l’ortodontista vale quanto detto sopra: l’esperienza sul campo dell’operatore cui si affida il proprio figlio è il fattore più importante nel determinare la qualità dei risultati che potranno essere raggiunti.

Nei nostri studi di Napoli e Caserta i pazienti malformati vengono seguiti da Ortodontisti con anni di esperienza.

Sbiancamento dentale e cibo

In vista dell’estate molti desiderano sfoggiare un sorriso con denti bianchi, magari bianchissimi. Effettuo personalmente trattamenti di sbiancamento dentale a Napoli e a Caserta Maddaloni, le città dove opero da molti anni e posso dire che spesso si ottengono risultati molto significativi anche dopo un solo ciclo di terapia sbiancante.

Innanzi tutto però va ricordato che lo sbiancamento può essere effettuato solo da coloro che hanno un cavo orale in condizioni di buona salute.

E poi bisogna sapere che questo trattamento richiede, come tutti i trattamenti medici, collaborazione da parte del paziente. Collaborazione che non si ferma solo all’esecuzione di una fondamentale e corretta igiene orale, ma invece richiede di prestare molta attenzione anche ad evitare il consumo, durante e dopo la procedura, di sostanze e alimenti che potrebbero inficiarne il risultato.

Per massimizzare l’effetto della terapia infatti, oltre ad evitare il fumo di sigaretta, dovranno essere anche evitati i cibi colorati sia in modo naturale che artificiale.

Dunque, i cibi da evitare durante lo sbiancamento dentale sono caffè, thè, vino rosso, liquirizia nonché frutta e verdura colorate.

Vanno inoltre evitati i collutori a base di clorexidina e quelli colorati, come pure le paste dentifricie che non siano bianche.

Queste precauzioni vanno adottate non solo durante la terapia, ma anche da un minimo di due fino a sette giorni dal suo completamento.

In ultima analisi sarà opportuno adottare una dieta “in bianco” privilegiando, nell’ambito della frutta e verdura, quei prodotti che hanno tale colore: mele, pere, cavolo, finocchio, patate, ecc..

Si tratta di piccoli sacrifici che però verranno ripagati da un risultato gratificante e molto più sicuro delle terapie fai da te!

L’alitosi

E’ opinione diffusa che dire a qualcuno che ha l’alito cattivo sia offensivo: conseguentemente molti soggetti affetti da alitosi non ne sono consapevoli.

Da una recente ricerca è emerso che in una situazione lavorativa, soltanto il 9% delle persone farebbe notare a un collega che il suo alito è cattivo, il 20% lo lascerebbe intendere, ad esempio, offrendo una mentina e la restante parte preferirebbe ignorare la questione e evitare del tutto il collega. Da quest’ultima affermazione si capisce quanto importante sia affrontare correttamente questo problema.

Le cause dell’alitosi possono essere legate sia all’alimentazione che a malattie sistemiche, delle vie aeree e del tratto digerente.

Per quanto riguarda l’alimentazione è noto a tutti che alcuni alimenti (aglio, cipolle, formaggio) possono essere causa di tale disturbo e in tali casi basterà evitarne il consumo.

Tra le patologie sistemiche frequentemente causa di alitosi ci sono diabete, epatopatie e nefropatie; anche malattie delle vie respiratorie come sinusite e bronchite sono in grado di instaurare l’alitosi. Nel tratto digerente possono essere individuate patologie causa di alitosi a livello gastrico, esofageo (ulcera, reflusso) ed orale.

Le malattie del cavo orale sono il principale fattore causale dell’alitosi: perciò il dentista è il primo specialista da interpellare.

Il meccanismo attraverso il quale le malattie del cavo orale determinano l’alitosi risiede nella liberazione di composti solforati volatili e maleodoranti a seguito della decomposizione dei residui di cibo da parte dei batteri.

Ogni ambiente capace di offrire ricetto a microbi e residui alimentari può diventare quindi causa di bromopnea. Denti cariati e tasche parodontali sono i principali siti responsabili, seguiti dal dorso della lingua, dagli spazi interdentali, otturazioni debordanti, e protesi mobili (dentiere) igienicamente trascurate.

Per prevenire e per curare l’alitosi è dunque necessario sia attuare una corretta igiene orale detergendo scrupolosamente i denti e la lingua sia consultare il dentista per curare, eventualmente siano presenti, stati di parodontite, gengivite e carie e per valutare l’opportunità di richiedere ulteriori consulenze specialistiche.

Controindicazioni all’implantologia dentale

Oggi l’implantologia dentale è una pratica estremamente diffusa. Ma prima di intraprenderla un implantologo deve valutare accuratamente il paziente perché esistono condizioni generali o locali che possono rappresentare in modo assoluto o relativo una controindicazione per un intervento di implantologia.

I fattori di rischio generali o sistemici per l’implantologia sono condizioni patologiche che, interessando l’intero organismo, possono dunque condizionare negativamente i processi di guarigione e di osteointegrazione anche nel cavo orale:

  • Diabete mellito scompensato
  • Chemioterapia antiblastica in atto
  • Radioterapia recente
  • Assunzione di difosfonati, usati nella terapia dell’osteoporosi, del morbo di Paget, ecc. (l’osteoporosi di per sé è stata considerata in passato un fattore di rischio significativo: i dati attualmente disponibili non autorizzano a considerare l’osteoporosi un fattore di rischio)
  • Morbo di Paget
  • Immunodepressione

in tali casi l’intervento d’implantologia dentale andrà evitato o comunque prima d’intraprenderlo andrà interpellato il medico curante.

Esistono poi fattori di rischio locale come:

  • Fumo
  • Parafunzioni (aggravano i problemi meccanici)
  • Crescita non ultimata: l’osteointegrazione avviene regolarmente, ma l’impianto non segue l’accrescimento osseo e si trova dislocato rispetto ai denti naturali vicini.
  • Aspettative non realistiche
  • Malattie delle mucose
  • Parodontite non controllata
  • Spazio insufficiente in arcata
  • Volume osseo insufficiente e non incrementabile
  • Condizioni estreme di alta o bassa densità ossea
  • Igiene orale inadeguata

Dentifrici sbiancanti e abrasione dentale

Quando si vogliono denti bianchi abitualmente la prima cosa che si fa è acquistare un dentifricio sbiancante. Questi dentifrici funzionano attraverso due strade: la presenza di sbiancanti ottici e la rimozione meccanica delle macchie per mezzo di particelle abrasive.

Gli sbiancanti ottici sono sostanze chimiche che, depositatesi sui denti, riflettono la luce in maniera più brillante.

Invece le particelle abrasive aggrediscono le macchie rimuovendole per attrito. L’attrito però non si ferma alle macchie, ma coinvolge tutto il dente potendo contribuire a consumarne le parti più delicate: i colletti. In queste zone, dove lo smalto è sottile o inesistente, la dentina sottostante può facilmente esporsi, ed essendo di gran lunga meno resistente dello smalto, può consumarsi in modo relativamente veloce.

Non a caso l’indice di abrasività dei dentifrici è espresso in RDA: Relative Dentin Abrasivity. Tale indice può avere valori compresi tra 0 e 250. I valori fino a 80 indicano dentifrici a bassa abrasività, tra 80 e 100 quelli medi, oltre ci sono le paste altamente abrasive.

Impiegare dentifrici altamente abrasivi è rischioso per denti e gengive. I denti possono pian piano consumarsi al colletto divenendo fragili e sensibili, le gengive possono retrarsi manifestando recessioni. Inoltre l’abrasione azzera anche i benèfici effetti che il fluoro esercita per via topica nella prevenzione delle carie.

Quando poi, non sapendo come lavare correttamente i denti, al dentifricio abrasivo si abbina uno spazzolino duro e un movimento errato, i danni possono essere rilevanti.

Ma in mancanza di indicazioni sull’RDA, come capire se una pasta dentifricia è troppo aggressiva? Un modo empirico per valutare l’abrasività di un dentifricio è palparlo tra le dita: una pasta abrasiva ha granuli facilmente palpabili e che si apprezzano anche tra i denti.

In ultima analisi comunque è consigliabile evitare o limitare a brevissimi periodi l’uso di dentifrici abrasivi.

Parodontite e malattie sistemiche

La parodontite è un’infezione che interessa i tessuti attorno ai denti. Generalmente essa ha carattere lentamente progressivo e, in conseguenza di ciò, viene spesso sottovalutata fin quando non si presentano le sue complicanze più gravi. La Parodontologia si occupa di intercettare i segni e sintomi della parodontite con cure appropriate.

Come parodontologo, a Napoli e Caserta, applico protocolli specifici per la cura della parodontite. Purtroppo però accade che in alcuni casi, i pazienti, pur informati sulla necessità di assidui controlli, ottenuti i primi risultati, ritornano a sottovalutare la malattia parodontale.

Ciò è deleterio. E non solo per i denti, ma per la salute in generale. Come ricordato in apertura, la parodontite è un’infezione. A essa corrisponde una risposta infiammatoria da parte dell’organismo che ne è affetto il quale conseguentemente rilascia nel circolo sanguigno mediatori come le interleuchine e il tnf. E’ ovvio che questi mediatori, come anche i microbi che dalle gengive migrano nel sangue non si fermano alla bocca, ma possono arrivare ovunque. Ecco che negli ultimi anni sono emersi studi scientifici da cui si evince che senza dubbio nei pazienti con parodontite non controllata il rischio di problematiche cardio-vascolari, complicanze ostetriche e iperglicemia risulta aumentato.

Un motivo in più, anzi, parecchi, per non lasciarsi andare…

Come scegliere lo spazzolino

Avete scelto di acquistare un nuovo spazzolino ma non sapete quale prendere? Naturale, infatti gli spazzolini non sono tutti uguali. Anche se molti medici trascurano questo aspetto, un bravo dentista invece sa che lo spazzolino da denti per essere efficace deve avere caratteristiche ben precise:

La durezza delle setole deve essere generalmente di livello medio. Nei pazienti che hanno gengive delicate e denti molto sensibili invece è consigliabile usare spazzolini morbidi.

Testa dello spazzolino piccola: la testina troppo grande può ostacolare la detersione dei settori dentali di difficile accesso. Per i bambini esistono dimensioni appositamente calibrate.

Composizione della testina: oggi, accanto alle setole, possono essere presenti anche dispositivi accessori. Io consiglio le testine composte esclusivamente da setole artificiali. I dispositivi accessori proposti dall’industria per gli scopi più svariati, per lo più sono realizzati in materiali che alla lunga potrebbero avere un effetto lesivo su denti e gengive.

Orientamento delle setole: dovendo scegliere uno spazzolino che abbia setole tutte allineate ed un altro che le abbia disposte in maniera incrociata, è senza dubbio da preferirsi quest’ultimo in quanto massimizza la capacità di detersione.

Lunghezza delle setole: trovo consigliabile impiegare spazzolini che hanno setole di diversa lunghezza. La presenza di un ciuffo terminale più lungo può aiutare a detergere i punti più posteriori e quelli interdentali. Anche la disposizione vicendevolmente alternata di gruppi di setole più lunghi e più corti risulta più efficace nel raggiungere gli spazi interdentali.

Indicatore dello stato di usura: alcuni spazzolini hanno setole che virano di colore quando iniziano a invecchiare.

In media comunque lo spazzolino va cambiato ogni tre mesi anche se sembra perfettamente integro. Infatti la sua durezza dopo tale periodo si sarà modificata e quindi lo spazzolamento sarà meno efficace. Se addirittura si aspetta che le sue setole siano divaricate si potrebbero rischiare recessioni gengivali e usure al colletto dei denti.

Ortodonzia, fissa o mobile?

Un trattamento ortodontico serve a riposizionare i denti e le mascelle per far si che combacino armoniosamente. Anche se ci si rivolge al miglior ortodontista del mondo, tuttavia è bene sapere che la scelta tra ortodonzia fissa e rimovibile non può essere operata liberamente.

E’ compito del dentista, ancor meglio se specialista in ortodonzia, individuare l’opzione terapeutica da preferirsi. In sintesi possiamo dire che mentre la terapia fissa è in grado di spostare con precisione ogni singolo dente per mezzo dell’interazione tra la stellina e l’arco che l’attraversa, la ortodonzia mobile sui denti lavora in maniera più approssimativa essendo invece di maggior ausilio nel guidare correttamente lo sviluppo delle ossa mascellari o per mantenere i risultati raggiunti dopo un trattamento fisso.

Anche l’efficacia differisce: mentre l’apparecchio fisso lavora inevitabilmente 24 ore su 24, quello mobile lavora solo quando il paziente lo impiega. Dal momento che senza l’apparecchio i denti tendono a “ritornare al loro posto” è evidente come un apparecchio ortodontico rimovibile possa essere usato con beneficio solo dai pazienti molto collaboranti.

L’igiene viene invece favorita dall’apparecchio mobile: basta disinserirlo per poter igienizzare a fondo i denti. Con l’apparecchio fisso ci vuole invece più attenzione.

Altro punto da considerare è l’ingombro: da questo punto di vista l’adattamento all’apparecchiatura rimovibile richiede sicuramente un po’ di tempo in più da parte del paziente.

Infine l’impatto estetico, preoccupazione prevalente dei pazienti in età adulta. Sia che si tratti di terapia fissa tradizionale che mobile, l’apparecchio può effettivamente incidere sul sorriso rendendo difficile aderire alla terapia. In tali casi però si può ricorrere all’ortodonzia fissa esterna estetica, all’ortodonzia fissa linguale invisibile, o, quando effettivamente proficua, all’ortodonzia rimovibile con mascherine trasparenti.

Il rigetto in impantologia

Il rigetto di un impianto dentale inteso come reazione avversa ad un dispositivo d’implantologia osteointegrata da parte dell’organismo non è possibile. Chi come me impiega impianti validati CE come gli Straumann  o gli Intralock  sa bene che essi sono realizzati in metallo assolutamente biocompatibile. Ciò che è comunemente definito rigetto, è invece  un’infezione attorno all’impianto che ne porta a fallimento losteointegrazione con conseguente perdita della vite e della protesi da essa supportata. Tale infezione viene detta perimplantite.

I fallimenti possono essere precoci o tardivi. I primi si verificano poco dopo l’intervento d’implantologia; i secondi anche a molti anni di distanza.

I fallimenti precoci, a dire il vero molto rari, sono in genere legati alla scarsa stabilità dell’impianto nell’osso e possono essere motivati dalle più svariate ragioni come ad esempio una cattiva qualità ossea, la masticazione sulla vite nel periodo in cui il medico lo avesse proibito e finanche errori iatrogeni.

I fallimenti tardivi sono per lo più legati ad un’infezione all’interfaccia tra osso e impianto: in pratica i microbi attecchiscono sulla superficie della vite,  colonizzandola progressivamente e innescano in tal modo una reazione infiammatoria da parte dell’osso che finisce per allontanarsi dall’impianto determinandone infine la perdita.

Il “rigetto” implantare ha una insorgenza subdola in quanto nelle prime fasi può essere assolutamente asintomatico. Successivamente il paziente può lamentare sanguinamento, dolore, o la percezione di cattivi odori e infine mobilità della vite e formazione di ascessi.

Il problema della perimplantite è che le terapie per contrastarla non sempre hanno successo e pertanto la prevenzione assume grande valore.

Eseguire scrupolosamente le manovre di igiene prescritte dal medico e sottoporsi a controlli periodici è dunque il miglior modo per combattere il rigetto.

« Pagina precedentePagina successiva »

Gli studi

NAPOLI: Nato nel 2000, grazie al consenso sempre maggiore col quale i nostri pazienti ci onorano, è stato di recente ampliato in modo tale da garantire l’erogazione delle cure in un ambiente che sia quanto più confortevole possibile.

MADDALONI: Nato nel 2013, situato in centro, è attrezzato con apparecchiature all’avanguardia, facilmente accessibile anche a portatori di handicap e si pone l’obiettivo di essere punto di riferimento per l’erogazione di terapie dall’alto standard qualitativo.


Sede di Napoli: via Edoardo Nicolardi 110.Tel: +39 081 743 37 86

Sede di Maddaloni (CE): via Roma 10.Tel: +39 0823 1970 479

presso gli studi è attivo un servizio di trasferimento chiamata che permette ai medici di essere costantemente reperibili quando non presenti nelle strutture.
Fax: 081 592 05 09E-mail: info@studiocuccurullo.it